ANNO 14 n° 119
Livingstone in Salotto Tempo dissipato
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18/05/2015 - 00:01

di Massimiliano Capo

VITERBO - ''E credo che i cattivi siano assai più rari che i buoni uomini, purchè non si chiamino cattivi (come si fa sempre) quelli che trattano male noi perché noi trattiamo male o indiscretamente loro; perché non vogliamo, o non sappiamo (cosa frequentissima), trattarli bene''.

Così Giacomino Leopardi nello Zibaldone dei pensieri che apro a caso in questo pomeriggio domenicale, col sole fuori alla finestra aperta e un bel caldo che finalmente ha il sapore della primavera e il sentore dell’estate che sta arrivando.

Quanti sorrisi ci neghiamo ogni giorno? Quanti abbracci e quanti baci potremmo dare e non diamo? Quanti sguardi distogliamo dagli occhi di chi ci viene incontro per paura?

E quante volte cadiamo nella tentazione di attribuire all’uomo nero, al diverso, allo sconosciuto, la responsabilità della nostra incapacità di aprirci con fiducia nei confronti del prossimo?

Certo, la cronaca è piena di episodi agghiaccianti, di storie raccapriccianti, di situazioni difficilissime, ma non bastano a giustificare le nostre paure.

La nostra costante tendenza a semplificare fenomeni anche molto complessi per portarli alla dimensione che abbiamo imparato a gestire meglio: quella del rifiuto.

Del non voler fare lo sforzo di capire anche le ragioni dell’altro.

Che è il contrario di giustificare ogni situazione perché a forza di immedesimarsi non si ha più la distanza giusta per osservare alcun fenomeno.

E’ invece empatia. E’ esser situati saldamente sulle proprio gambe (per quanto saldamente si possa esser situati) e da lì osservare ma col cuore aperto e gli occhi rivolti in avanti e la mano tesa.

Stamattina ho ascoltato suonare una banda.

Una di quelle bande di paese che ce ne sono sempre meno in giro.

Con la divisa abbozzata, una camicia bianca e un pantalone blu, le scarpe nere, tutte diverse, così come le camicie e i pantaloni.

E il maestro, sotto il sole, col suo completo grigio e le braccia lunghe, quasi due ali, a guidare quella piccola truppa, per lo più di anziani, che marciava a fila doppia per la via stretta.

Trombe e clarinetti, flauti traversi, un flicorno, un basso, una grancassa, un tamburino e gli immancabili piatti.

Accompagnavano, al ritmo pacato della musica di ogni processione, la Madonna nel suo percorso attraverso il paese.

Le facce rosse per il sole e lo sforzo, gli occhi attenti alle note sui pentagramma, gli sguardi di chi nella vita ha sempre faticato e trova ristoro nella musica.

Qualche raro giovane, scomposto nel vestire.

Con loro, i confratelli col Crocefisso in testa e il gonfalone della Madonna.

Vestiti di bianco e di azzurro cielo.

E poi le bambine coi vestiti della comunione portavano il cero.

A terra i fiori di una bellissima infiorata che coinvolge tutto il paese, ognuno impegnato a curare le prossimità della propria abitazione. Con cura, con attenzione, con dedizione.

Un tempo sottratto alle occupazioni abituali, sottratto alla routine.

Un tempo dissipato, inutile e perciò stesso preziosissimo.

Il tempo della comunità degli uomini finalmente liberi.

Mi ricordo che da bambino seguivo anche io la processione. Ero al paese e c’era la banda.

Oggi non c’è più, non ci sono più i ragazzi e nessuno coinvolge i pochi rimasti.

In quella banda c’era mio nonno, passato dalla tromba alla grancassa col passare degli anni e il venir meno dei denti. Lui che non si è mai voluto metter la dentiera.

Quella banda si riuniva per far le prove che era ormai sera e tutti erano tornati dalla campagna e dalle botteghe.

Li teneva insieme la passione e il senso innato di servire la comunità di cui facevano parte.

Li spingeva il desiderio di tenere fuori dalla loro vita, anche solo per qualche ora a settimana, il tempo del lavoro, il tempo della fatica, il tempo del padrone.

Perché a spaccarsi la schiena di fatica il tempo ha un altro corso.

E liberarsi dalla schiavitù di quel tempo ha il suono triste e vivo di un blues.

Che poi è lo stesso tempo sospeso dell’amore.

''Un vero amore essenziale è fatto di coraggio, visione, dedizione, inventiva, sensualità, capacità di scelta, gioco scanzonato, lavoro duro, senso di responsabilità e imprudenza. Un vero amore essenziale deve esprimersi in migliaia di gesti, generare un proprio particolare linguaggio, funzionare come una bussola interiore che guida attraverso le nuvole e le tempeste''.

Insomma, un amore cosmico (non me ne voglia Franco Bolelli che ha scritto le righe poco sopra).

Un amore al sapore di una panchina in un giardinetto e di un abbraccio tra i capelli chiari della ragazzina dagli occhi verdiazzurri.





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